Nazionale

Child Safeguarding e sport: gli insegnamenti del progetto STePS

Tutela dei minori e sport: politiche, cultura organizzativa, formazione, pedagogia collettiva. Parla S. Digennaro, Università di Cassino

 

Simone Digennaro, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, ha sintetizzato in quattro parole chiave gli interventi a tutela dei minorenni nello sport: politiche, cultura organizzativa, formazione, pedagogia collettiva. Il professore del Dipartimento di Scienze Umane, sociali e della salute, è intervenuto il 17 aprile a Roma, nell’incontro conclusivo del progetto  STePS, ambienti sicuri per bambini e adolescenti: buone prassi e sfide per la tutela dello sport, promosso da Save the Children, con il contributo del Dipartimento per le politiche della famiglia, e realizzato in collaborazione con Uisp e Csi.

“Per svolgere efficacemente il compito del Child Safeguarding nello sport, ovvero di chi tutela i diritti dei minori, occorre partire dalle politiche, che non sono mai neutre ed hanno sempre un orientamento valoriale e culturale – ha detto Digennaro – quindi occorre partire da qui e capire se le attuali politiche in questo campo hanno il giusto orientamento culturale e valoriale. Se riflettiamo di sportpertutti sappiamo che da soli non siamo in grado di realizzare questo tipo di analisi, occorre un sistema integrato insieme tutti i soggetti che hanno una visione sociale comune”.

Il secondo aspetto è quello della cultura organizzativa. Mentre ero in Francia per il dottorato, ho avuto modo di approfondire i modelli organizzativi di Uisp e Csi – ha proseguito Digennaro - ed ho imparato a conoscere nel profondo la cultura organizzativa di queste due storiche associazioni sportive e sociali. Ho verificato che dove c’è cultura organizzativa c’è anche capacità di fare autocritica e massa critica. Questo è un aspetto determinante perché nell’ambito del quale ci stiamo occupando abbiamo bisogno di un cambio di passo e c’è bisogno del coraggio di cambiare, aggiornando le procedure e avviando sistemi di monitoraggio. Le organizzazioni possono autogovernarsi soltanto se assumono nuovi occhiali e incominciano a valorizzare seriamente aspetti che in precedenza rimanevano in secondo piano. I soggetti maturi organizzativamente devono sapersi autoregolamentare, senza aspettare che ci sia un meccanismo esterno sanzionatorio. Per far questo servono le competenze giuste, consolidare la propria matrice sportiva ma allo stesso tempo incarnare alcune nuove competenze che in passato non c’erano a questo livello di priorità, che rimanenvano in secondo piano e che invece oggi sono necessarie. Questo meccanismo in sociologia lo definiamo come processo di professionalizzazione, ovvero rendere l’esperienza sportiva come un’esperienza saliente”.

“Il terzo aspetto è quello della formazione – ha proseguito Digennaro – capire come fare questo ulteriore passo in avanti, come gestirlo e metabolizzarlo. Da questo punto di vista, ad esempio, l’Università ha processi di cambiamento molto lenti ma solidi e ponderati. C’è bisogno di contaminazione e cooperazione tra saperi e competenze, tra Università e organizzazioni sociali per mettere a punto una efficace sensibilità al cambiamento. E la formazione integrata è una di quelle cose che si possono fare insieme”.

“Infine il quarto aspetto, la pedagogia collettiva. Da questo punto di vista mettiamo a disposizione una recente esperienza che siamo conducendo, che gravita intorno alla realizzazione di una nuova rivista come laboratorio interdisciplinare di approfondimento, che si chiama ‘Corpo, Società, Educazione’. Pensiamo a quella che era la percezione nel nostro Paese del rapporto tra adulti e minori negli anni ’60. Ho ripreso in mano ‘Ragazzi di vita’ di Pier Paolo Pasolini. Emerge un rapporto violento che oggi non è più comunemente accettato ma allora lo era. Stessa cosa avviene negli ‘Scritti di pedagogia’ di un superfilosofo come Kant che scrive che è legittimo picchiare i bambini perché fa parte del loro percorso formativo. Per questo è importante la pedagogia collettiva, perché deve saper elaborare nuovi modelli condivisi di comportamento”.

“La cosa positiva dell’associazionismo sportivo – ha concluso Simone Digennaro – è che questo tipo di problematiche se le era già poste ed ha cercato risposte strada facendo. Il merito di Save the Children attraverso il progetto STePS è stato quello di averle messe a sistema”. (a cura di Ivano Maiorella)